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I  corpi pietrificati - 2001

Mario Lansione

Fin dagli esordi delle vicende umane, la figura è stato il tema che ha sempre interessato ed affascinato gli artisti; sia nella ricerca, nell’analisi che nella creazione di nuove espressioni e significati.

Dagli Egiziani, ai Greci, ai Romani eda altre civiltà del passato, abbiamo ereditato tracce e testimonianze indelebili del loro “vissuto” proprio attraverso immagini e personaggi mitici, eroi o divinità dell’epoca. Le vicende dell’uomo sono state, quindi, raccontate soprattutto attraverso lo studio del corpo in tutta la sua espressività e dinamicità; trasformato e ridefinito in continue metamorfosi, è stata una scommessa sempre viva ed attuale per qualsiasi operatore artistico.

Nella nostra realtà storica prendendo come punto di riferimento il “Rinascimento”, intere generazioni di artisti hanno consumato la loro genialità e sensibilità nel rappresentare fatti, episodi e concetti religiosi o filosofici attraverso lo studio del corpo umano. Da espressioni dolci e immacolate, attraverso una continua evoluzione della forma, siamo pervenuti ad apprezzare l’urlo di dolore di uomini soli, disorientati e tormentati, rappresentati con estrema disinvoltura ed immediatezza.

Tutto questo, ha avuto comunque una costante: L’artista ha sempre rappresentato qualsiasi evento attraverso l’espressività esteriore dei personaggi per poterne sviscerare la spiritualità.

Anna Crescenzi, invece, compie un processo inverso analizzando l’uomo partendo dall’interno e, in alcuni casi, dalle viscere stesse per poterne rappresentare, in maniera drammatica ed immediata, tutto il dolore e il peso di un’esistenza che, nel groviglio delle vicissitudini umane, nulla le viene regalato e tutto è ridotto alla sofferenza fisica e quindi psicologica.

Alberi distrutti nella loro vitalità e tronchi divenuti pietra simboleggiano il perpetuarsi del tempo. Cortecce rinsecchite e rami aridi, senza foglie, sembrano braccia innalzate al cielo in una drammatica testimonianza di un tempo che avanza inesorabilmente e che evidenzia la solitudine e la “nullità” dell’uomo senza però cancellare le tracce del suo passaggio.

    Sono forme “non umane” che conservano la plasticità e l’anatomia di corpi senza vita analizzati dall’interno. Ventri di donne colte nel dolore della loro esistenza ma ancora energicamente legate al cordone della vita. Sono figure e corpi abbandonati alla rigidezza pietrificata ma che sviluppano ancora un’energia vitale forte e volitiva che, pur nella ribellione, assicurano la continuità della “specie”.

Gli arti, talvolta, sono sostituiti da ferri allungati o piegati che rimandano ad antenne proiettate verso il cosmo, in cerca di “segnali” provenienti da altri mondi.

“… Rivela una suggestiva sensibilità plastica, facendo poesia con la magia sospesa di pleniluni: sonda il mistero d’essere donna nella vita che fluisce oltre strane porte…”

Questo pensiero di Angelo Calabrese, critico d’arte attento e sensibile, dà un senso profondo “all’essere donna” dell’artista e, per chi conosce bene Anna, “l’essere donna” è stata sempre una costante che Crescenzi ha concretamente vissuto, nella gioia e nella sofferenza di scelte volute e mai rinnegate, nell’assunzione delle proprie responsabilità e nel vivere secondo il proprio “credere” interiore senza compromessi e cercando di essere sempre se stessa.

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